giovedì 19 agosto 2010

Darei due gambe e due braccia

Il tizio di questo post (a parte il finale allucinato) esiste davvero. Ogni sera si mette sul balcone e si appoggia alla ringhiera; guarda per terra, guarda il giardino. Già, guarda, non osserva. Con la mente è altrove, e io darei un braccio per sapere a cosa cazzo pensa tutte le sere. A che pensa per vivere da solo in quell'appartamento. Magari alla sua consorte ormai defunta, magari ha capito che soffrire per una persona che non c'è più non porta a nulla, e quindi è soddisfatto della sua vita. Ma come fa? Sulla sua schiena sembra portare tutte le pene del mondo, e se ne frega. Non si piega, e quel balcone è lo sguardo che ha verso il mondo: non solo verso la formica che porta la briciola di pane al formicaio, ma osserva anche l'aurora e le stelle cadenti di agosto.

Darei l'altro braccio per fargli i complimenti, perché quando esce con la sua bicicletta è contento e sorride. Da solo, in solitudine. Io non arriverò mai a quel punto, io la solitudine non la sopporto, meno che zero ora che ho trovato una fedele compagna. Non fateci caso, dico sempre che non la sopporto, ma sono il primo a caricarmela in spalla e a portarla per un tempo indefinito.

Darei una gamba per sapere se quello che vedo è un uomo contento, o rassegnato. Rassegnato a tutto, ma se è rassegnato perché continua a uscire sul balcone? Cioè, vai direttamente a letto e aspetta la morte in pace. Non sagrinarti pensando a chissà quali mostruosità umane. Che te ne frega, una bella dormita che domani è un altro giorno. Sono più propenso a pensare alla prima ipotesi (quella del primo braccio).

Darei l'altra gamba per mandarlo a quel paese, perché col suo atteggiamento mi fa sempre perdere un mucchio di tempo. Appena lo vedo non posso fare a meno di fermarmi in quello che sto facendo, e pensare insieme a lui. Ma non sono così bastardo, perché non posso certo fargliene una colpa.

Non darò nessuna delle mie braccia e nessuna delle mie gambe. Mi servono. Per camminare, per toccare con mano i sogni che mi compaiono la notte, per correre verso quell'angolo di luce, per sfiorare gli angoli bui di una bella donna, per amare.

venerdì 6 agosto 2010

Unica guida

Unica guida

Là dove la Luna dista quattro dita da Venere
Talmente bella che sembra lì solo per te

Un braccio prende vita fra gli ulivi
Labbra impregnate di salsedine
L’incontro a metà fra la terra e il cielo
Emozioni di seta e brividi maestosi
Animo vittorioso che sorregge il poeta
Perdo la vita e la ritrovo con te
La malinconia mi raggiunge in festa
mentre la paura risiede nei meandri oscuri del mare

Chiudo gli occhi e seguo la tua luce
Unica guida

martedì 3 agosto 2010

Piangere da soli fa male, meglio in compagnia

25 minuti e credo di aver stabilito un record personale. Solo un'altra volta ho pianto così tanto, ed erano gli anni peggiori. Effettivamente non sta andando proprio bene ultimamente; alcune cause si sanno, altre no. In merito al titolo, credo che sia così. Piangere da solo ti porta a svuotare tutta la merda che hai dentro e buttarla intorno a te, quindi respiri un'atmosfera davvero pesante; cadi giù giù in fondo, fai pensieri folli, e ti trovi solo. Sei solo te che cadi, attorno c'è solo lo schifo che hai mandato fuori. E quando hai finito tutto? Il vuoto, una malinconia esasperante e nessuna persona che è in grado di colmarlo. Ricominci da solo, e quando lo fai dai segno di una grande maturità e forza interiore. Oppure aspetti lì in fondo, nel buio, aspetti di vedere una luce, morta o viva che sia, attendi quella luce. Non dovrebbero esserci controindicazioni se l'attesa non è molta, ma i problemi sorgono quando si aspetta per settimane, mesi, anni: la luce viva marcisce e muore, il resto si può immaginare.

Un'altra cosa è piangere in compagnia, abbracciati alla fidanzata, ad un amico, ad un'amica. Quando piangi sulla spalla di qualcuno non cadi giù, anzi, ti innalzi verso l'alto, esattamente l'opposto di quando si è soli. Questo perché non c'è attesa, e ricominci subito a vivere, meglio di prima (perché svuotato da un gran peso). Tutto quello che butti fuori viene assorbito da quella spalla amica, che lo ricicla in affetto, comprensione e amore, proprio quello di cui hai bisogno di in quel momento. E alla fine delle lacrime, tempo ancora mezz'oretta, e ti sentirai come un leone. Vivo, raggiante, soddisfatto, pronto per sfidare nuovamente il mondo.

Purtroppo questi 25 minuti di pianto, me li sono fatti da solo, chiuso dentro casa e al buio. Nessun contatto con l'esterno, e quel vuoto di cui ho parlato prima lo sto sentendo eccome, e brucia ancora. Ma io non ricomincio. Io aspetto ancora due giorni il suo ritorno, e solo allora potrò vedere la luce viva oscurata da una mano tesa verso me.